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medri mario

Le poesie di Medri Mario
Borgo Marina

Una fila di case, dritta a filare,
delle quali la patina del tempo
ha sbiadito i colori.

Di fronte il porto canale, opaco
e gremito di piccole barche
che aspettano l’alba.

Un vociare alto di pescatori
e grida gioiose di bimbi,
fra reti distese nel sole.

Sapore di pesce arrostito,
diverbi sconnessi per futili cose,
su cui cade presto l’oblio.

Vegliano sempre due sentinelle:
a monte la torre quadrata,
a mare il faro lucente.


Vele Antiche

Erano belle le vele di un tempo!
Le vedevo issate sui bragozzi leggeri,
sfilare nel porto canale
come in processione.
Gonfiate dal vento, baciate dal sole,
le loro policrome tele, dipinte
da mani callose e inesperte,
mi portavano, fin sotto casa,
il sapore salmastro del mare.

La Sirena del Porto

La nebbia si attarda in ozio
sulla deserta marina.
E’ arrivata dal mare, silente,
come un’onda grandiosa di fuligine bianca.
E con essa, per tacita complicità,
ecco farsi sentire il verso acuto
della sirena del porto, messaggera
di lamentevoli accenti.
E’ un grido straziante, lanciato
a brevi intervalli, che taglia l’aria,
satura d’umidità e di malinconia,
con la lama delle sue note stonate.
E’ un grido ossessivo, tedioso, che
l’impalpabile sfarinatura rappresa,
vagante nell’aria sonnolenta, tende
ad amplificare come un moderno
impianto ad alta fedeltà.
Dovrebbe, quell’assurda sirena, indicare
la giusta via ai rari naviganti
di questo, sempre più piccolo, tratto di mare,
mentre risveglia soltanto, nell’animo umano,
il senso profondo di una desolante tristezza.
Io l’odio, quel grido! Usa il sistema sottile
di un antico tormento.
Si snoda sui moli bagnati,
s’infila nei viali spogliati,
avvolge le misere case,
penetra dalle finestre sconnesse, arriva,
di notte, fin sotto le calde coperte
a troncare il sonno di tutta la gente.
Mi sforzo a scacciarlo,
mi turo le orecchie, ma invano.
Il vile, scocciante richiamo m’invoglia,
oltre ogni dire, di fissare il pensiero
al sole splendente, caldo d’aprile,
capace, lui sì, di farlo infine zittire.

San Silvestro

Fine di un anno qualunque.
Fine di una vita terrena, la tua,
cara, dolce sorella Annita!
Il veglione impazza. Gremita la sala
di euforica gente, tua figlia non bada
che a divertirsi, ignara.
E’ tempo di svago, di sana allegria,
non di funesti pensieri.
Scocca ormai mezzanotte e l’attesa,
fattasi gravida di trepida smania
di scambiar inutili auguri e vane promesse,
si dipana svelta col filo dei minuti.
E tu che aspetti, dolce sorella? La morte.
Eccola giungere, fulminea, per mano di un vile.
Un fragore assordante: la bomba! Un grido
associato al dolore che zittisce l’orchestra,
annulla gli ardori.
La festa si muta in tragedia.
Colpita alla tempia da orribili schegge, ti trovo
distesa nel freddo impiantito,
senza più vita, ormai. Solo i tuoi occhi
chiedono ansiosi: “Dov’è?”
“Tua figlia è viva, è con me.” E’ quanto ti basta.
Ultima notte di San Silvestro. Fuori
la galaverna ricama gelide trine
e vien l’alba discreta a fugare le tenebre,
lentamente, a braccetto dell’eternità.

2 Novembre 1963 un ricordo di Medri Mario per la sorella Anita morta per la guerra nel bombardamento del teatro

 

   E’ stagione di morti, di malinconie, di ricordi. Il tempo si adatta in modo perfetto alla triste circostanza, Piove leggermente; una pioggia sottile e penetrante che si confonde con la foschia del grigio novembre. Vedo cadere le foglie, pigre e pur soavi nel loro ultimo svolazzare, ieri dorate, oggi intrise d’acqua e spente come tutte le cose caduche. Come noi stessi, del resto!
   Sono qui, a casa, trattenuto da una leggera febbre causata forse più dalla tristezza che dall’inclemenza del tempo. Oggi non posso,come era doverosa consuetudine fare negli anni scorsi, visitare i miei morti al cimitero. Non posso portar loro, con mano pietosa, i bei crisantemi, candidi come la neve. Non mi sento però in colpa poiché, qui, raccogliendo i miei pensieri, posso ugualmente , anzi in modo più sentito, ricordare papà e l’unica sorella, Anita. Sono certo che a loro non dispiacerà, dato che il ricordo vale molto di più, dura molto di più dei fragili crisantemi, destinati ad appassire al primo soffio gelido del vento. Invece il mio ricordo non potrà temere né il gelo, né la pioggia, né il vento; sarà duraturo, perenne e caldo come l’affetto che nutrivo per loro.
   Ebbene, oggi li ricordo così i miei morti.
   Papà si è spento nel suo letto, circondato dalle premure e dall’affetto di tutti noi. E’ stato assistito, curato, sollevato dalle sue pene, ma il male inesorabile non ha concesso altre alternative se non la morte. Il dolore per la sua dipartita è stato certo straziante, ma ci consolava il fatto di aver tentato di tutto per sottrarlo alla sua fine, ormai prestabilita dal destino in tal senso. La rassegnazione quindi ci è sembrata più agevole, perché confortata da tutti i tentativi concessi alle umane possibilità.
   La scomparsa di mia sorella è stata invece troppo repentina, tanto crudele e soprattutto così assurda. Io, indubbiamente, ne ho sofferto più di qualsiasi altro, essendo allora, in quella tragica notte di San Silvestro del lontano 1946, molto giovane; ma in special modo lei, la più anziana di tutti i fratelli, mi ha, si può dire, allevato, viziato ed anche, nel momento opportuno, consigliato e redarguito in modo davvero esemplare, come avrebbe fatto la mamma, né più né meno.
   Come è vivo ancora in me il ricordo della terribile notizia della tua incredibile fine, cara, dolce sorella mia!
   Sei scomparsa così, all’improvviso, trafitte le tempie da contorte e taglienti schegge, in una notte stellata più destinata alla vita ed ai buoni auspici che alla fredda morte. Né hai potuto balbettare l’ultima parola, forse una raccomandazione per tua figlia, allora sulle soglie della giovinezza, né hai potuto guardarci negli occhi, né hai avuto la forza di dirci addio. Nulla! La morte ti ha ghermito in un attimo, rapida come il baleno.
   La tua vita ha avuto termine con un atto di generosità, prestando il tuo corpo da scudo a tua figlia vicina. Eri generosa e tanto cara, lo so! Ricordi come mi difendevi dalle sgridate degli altri, come mi proteggevi allorché commettevo qualche cattiveria, come mi aiutavi nel momento del bisogno? Papà e mamma erano troppo indaffarati per badare a me, al più piccolo della nidiata. A loro premeva, giustamente, lavorare a sodo per mantenere tutti noi che eravamo di facile appetito in quei tempi di ristrettezze e di penurie. E quanti anni difficili abbiamo trascorso assieme!

   Tu sempre attenta e vigile, non ti sfuggiva nulla. Bastava ch’io ti guardassi negli occhi per capire le mie preghiere. Eri sempre tu che racimolavi un poco di denaro per il cinema, mi comperavi qualche bel libro di lettura, ben sapendo quanto mi piacesse leggere, e mi spronavi a studiare ed a migliorare sempre di più. Lo facevi, qualche volta, adoperando il manico della scopa e non le buone maniere e facevi bene! Ora capisco perfettamente quanto mi siano serviti i tuoi disinteressati rimproveri. Mi facevi filare dritto e come!
   Ricordo benissimo che la mamma, sempre stanca e occupata, mi affidava l’ingrato incarico di farti…..compagnia, la sera, quando veniva a trovarti il fidanzato. Ero piccolo allora e mi sforzavo di rimanere sveglio, mentre voi vi dicevate parole tenere, il cui significato mi era ignoto, o per lo meno incomprensibile nello stato di dormiveglia in cui spesso mi trovavo. Quanti moccoli mi hai fatto portare! Ti confesso ora che non mi dispiaceva, sai. Lo facevo con molto garbo ed ero abbastanza discreto, ti pare? Dovevo pur anch’io dimostrarti in qualche modo la mia gratitudine ed allora cercavo di essere accondiscendente e facevo finta di dormire, molte volte, anche se la curiosità, tutta infantile ed innocente, mi spronava ad aprire gli occhi. In quei momenti anche tu eri molto carina verso di me. Il capo chino sul tavolo, mi deliziavo sentire la tua mano accarezzarmi i capelli e provavo allora, unitamente ad un senso di pace e di protezione, anche una sorda quanto stupida gelosia per l’uomo che ti avrebbe un giorno sottratta al nostro misero focolare.
   Come eri felice in quel tempo! Avrei tanto desiderato vederti e pensarti sempre così!
   Ho saputo più tardi che ti compiacevi anche mostrare agli altri le mie lettere che ti scrivevo quando ero militare. Eri fiera di me, forse esageratamente e ti piaceva farlo notare, dicendo in giro che scrivevo belle lettere, piene di esaurienti e deliziose descrizioni sia dei luoghi che avevo visitato, sia delle persone che avevo conosciuto. E quanto sentimento ci mettevo, dicevi. Cara, quanto cara eri! Se ho conservato ancora un poco di sentimento, lo devo proprio a te, dolce sorella mia!
   Oggi, il sentimento scaturito dal tuo affetto, dalle tue tenerezze, dai tuoi dolci sguardi, si riversa interamente su te, così intenso e caldo, da farmi venire le lacrime agli occhi. Si, mi fanno tanto bene queste lacrime, lasciamole sgorgare. Tu hai seminato, nel tuo breve passaggio su questa terra, semplicemente amore ed oggi, vedi, queste lacrime suggerite dal tuo ricordo sono i frutti più belli e più sinceri del tuo onesto operare.
   Oggi mi piace ricordare così i miei morti!

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